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SPE - Spazio Performatico ed Espositivo
26 aprile 2014
ore 21.00

I like Mozart

Wolfgang Amadeus Mozart, Quintetto per clarinetto e quartetto d'archi K. 581

Gioachino Rossini, Le Duo des Chats

Michele Dall’Ongaro, Contino variations

Camille Saint-Saëns,  Il carnevale degli animali

 

Carlo Palese pianoforte
Simone Soldati pianoforte
Alberto Bologni violino
Cristina Papini violino
Tommaso Valenti viola
Carlo Benvenuti violoncello
Gabriele Ragghianti contrabasso
Giulia Matteucci flauto
Remo Pieri clarinetto
Antonio Caggiano xilofono e glockenspiel
Erasmo Gaudiomonte direttore

in collaborazione con Ars Ludi


Quando Mozart nel 1789 scrive il “Quintetto in mi bemolle maggiore” K 581 non era affatto consueto impiegare il clarinetto in una formazione cameristica. Ideato circa un secolo prima sul modello del “chalumeau”, antico strumento francese, al tempo di Mozart il clarinetto non ha ancora sviluppato una didattica, né una propria letteratura ed è uno strumento relativamente nuovo, per molti aspetti ancora da scoprire. Mozart si innamorò letteralmente del timbro vellutato, scuro e un po’ misterioso del clarinetto e lo impiegò in molte occasioni in orchestra per sottolineare momenti particolari delle sue ultime opere teatrali, ma anche in due delle ultime tre Sinfonie (K 543 e K 550) caratterizzate da un inedito senso drammatico. A stimolare il suo interesse per questo strumento contribuì in maniera determinante la profonda amicizia che lo legò ad Anton Stadler, il più grande clarinettista del suo tempo, nonché “fratello” appartenente alla stessa loggia massonica viennese alla quale Mozart fu affiliato fin dal 1784. Il compositore fu profondamente attratto dagli ideali di libertà e fratellanza predicati dalla massoneria e la loggia costituì per lui qualcosa di molto vicino a una nuova famiglia. Per la sua loggia Mozart scrisse, peraltro, mirabili composizioni in cui gli strumenti a fiato (e i legni in particolare) hanno un ruolo primario e veicolano una simbologia nascosta. Nella scelta delle tonalità, ad esempio, come quelle di Mi bemolle maggiore o La maggiore, le cui alterazioni caratteristiche (bemolli per la prima e diesis per la seconda) sono in numero di tre e la loro normale disposizione all’inizio del pentagramma forma la figura di un triangolo. Tonalità che non a caso sono anche le più “comode” per il clarinetto, per il quale Mozart, invogliato dall’amicizia per Stadler, compose alcune tra le più belle pagine mai scritte, come il Trio “dei birilli” K 498, il “Concerto per clarinetto e orchestra” K 622 e per l’appunto il “Quintetto” K 581, nelle quali per la prima volta nella storia della musica il clarinetto è utilizzato in tutta la sua estensione e nel pieno delle sue possibilità espressive. Il Quintetto, inoltre, segna anche la prima volta in cui il clarinetto compare come “primus inter pares” accanto a un quartetto d’archi, per di più in una composizione di dimensioni importanti strutturata in quattro movimenti, ora rispondendo in eco agli interventi degli archi, ora commentandoli con fioriture e melismi, ora integrandosi con perfetto equilibrio nella tessitura polifonica.

Sulla limpida bellezza delle linee melodiche e delle idee musicali di questa composizione poco possono aggiungere le parole a quanto il nostro orecchio non possa percepire da solo. Serenità, dolcezza e una sottile quanto penetrante venatura malinconica sono le impressioni che emergono sin dalla prima frase e che caratterizzano l’intero Quintetto. Da notare, l’atmosfera notturna del Larghetto dominata dalle iniziative melodiche del clarinetto, qui decisamente in primo piano rispetto agli archi (i due violini hanno la sordina). Equilibri ripristinati nel successivo Menuetto, raro gioiello di nitidezza melodica, e nel movimento conclusivo: un Allegretto con variazioni in cui Mozart sembra tornare a ricordi d’infanzia, alternando imprevedibili momenti brillanti ad altri di più intima nostalgia.

Che la musica possa anche essere divertente e scherzosa, lo dimostra tutta la tradizione dell’opera buffa italiana e non mancano anche pagine puramente strumentali (alcune delle quali firmate da Mozart). Ma il vero campione dell’umorismo in musica fu senz’altro Gioachino Rossini, autore di autentici capolavori del genere, basti pensare al “Barbiere di Siviglia”, all’ “Italiana in Algeri” o anche a certe deliziose pagine cameristiche parigine. A lungo attribuito a Rossini, il “Duetto buffo di due gatti” in programma stasera non è però opera sua. O, almeno, non del tutto. Il pezzo è infatti un assemblaggio di temi effettivamente rossiniani e di un altro compositore, pubblicato nel 1825 a firma di un certo “G. Berthold”, probabile pseudonimo del compositore inglese Robert Lucas de Pearsall. Destinato a due voci di soprano con accompagnamento di pianoforte, il duetto è formato da un’introduzione che riprende una “Katte-Kavatine” del danese Christoph Ernst Friedrich Weyse, seguita dalla citazione della cabaletta di Rodrigo “Ah, come mai non senti”, dal secondo atto dell’ “Otello” di Rossini.

Il testo è basato unicamente sulla ripetizione della parola “Miau”, vocalizzo lamentoso, vezzoso, ammiccante, che si presta facilmente anche ad adattamenti strumentali.

La citazione di temi preesistenti all’interno di un’altra composizione è uno degli artifici di cui si servono i compositori per indurre al sorriso. In fondo è anche la natura della “parodia”, la cui etimologia rimanda al canto (nel medioevo designò anche una precisa tecnica musicale) e che più tardi assunse l’odierno significato con cui la associamo al comico. Citazioni rossiniane, come vedremo, affiorano anche nel “Carnevale degli animali” di Saint-Saëns e lo stesso “Carnevale” è all’origine delle “Contino variations” di Michele Dall’Ongaro, divertissement al quadrato scritto nel 2008 (come parte del balletto “We Like Mozart”) il cui titolo rinvia a sua volta a una nota aria mozartiana. Compositore, musicologo, autore radiofonico e televisivo, Michele Dall’Ongaro è anche, per chi lo conosce, caratterialmente incline all’ironia (dote rara tra i musicisti e non solo) e lasciamo volentieri a lui la parola per presentare il suo lavoro: «Un gruppo di musicisti deve suonare ‘Le Carnaval des Animaux’ di Saint-Saëns, ma le parti non arrivano e tutti si annoiano. Allora si lasciano andare alla ricerca, un po’ confusa e disordinata, di un tema sul quale improvvisare delle variazioni. Tra quelli proposti primeggiano motivi di Mozart e, infine, scelgono l’aria ‘Se vuol ballare, signor contino’ da ‘Le nozze di Figaro’. Dopo otto variazioni (ognuna di stile diverso, a seconda della personalità di chi la propone) il violinista si ricorda che anche Beethoven ha scritto delle variazioni su quel tema. Sulla stessa ‘coda’ di Ludwig van tutti si riconciliano e il pezzo si conclude, anche perché le parti di Saint-Saëns sono arrivate e il concerto deve cominciare…»

E il concerto comincia. I musicisti, del resto, sono già pronti anche perché l’organico delle “Contino variations” è intenzionalmente lo stesso del“Carnevale degli animali”diSaint-Saëns. Da “El grillo”di Josquin Desprès al “Pulcino Pio”, sono molti gli animali che popolano il repertorio musicale di tutte le epoche e in tutti i generi, tra gatti, trote, lupi, calabroni e una inesauribile galleria di volatili. Un’allegra rappresentanza l’abbiamo ovviamente anche nel “Carnevale degli animali”, capolavoro di umorismo musicale composto nel 1886 per un’occasione privata e, per volontà dell’autore, autorizzato a pubbliche esecuzioni solo dopo la sua morte.

Concepito come una “fantasia zoologica” (questo il sottotitolo) per due pianoforti ed ensemble da camera, il “Carnevale” si snoda in tredici brevi pezzi (più un finale), ciascuno dei quali descrittivo di un animale o di una categoria faunistica, attingendo (e in parte creandoli ex novo) ai canoni di una certa retorica musicale: il “re della foresta” è giustamente evocato da un’esotica Marcia reale, le galline e i galli da un chiocciare insolitamente leggero, le tartarughe da una semplice ma lentissima melodia all’unisono accompagnata dal solo pianoforte (attenzione a due clamorose dissonanze!), il contrabbasso “interpreta” l’elefante in una danza leggiadra per quanto possibile, armonici acuti seguiti da note basse riproducono fedelmente il raglio degli asini, mentre il cucù e gli altri uccelli non tradiscono le rispettive nobili tradizioni. Ci sono poi mammiferi esotici come gli emioni e i canguri, e non mancano neppure i fossili. Animali sui generis, ma pur sempre animali, sono anche i pianisti, soprattutto quelli che si ostinano a percorrere pedantemente la tastiera con esercizi didattici e noiosissime scale. Si discostano dal tono umoristico i pesci, che nuotano seguendo il fitto reticolo degli arpeggi intessuto dai due pianoforti e il cigno, unica pagina veramente romantica (su cui, non a caso, Mikhail Fokine costruirà il celebre assolo di danza “La morte del cigno”).

Nel finale Saint-Saëns li richiama tutti insieme per una spiritosa passerella in forma di rondò in cui c’è tempo anche per strizzatina d’occhio al “Barbiere” rossiniano.

Giovanni D’Alò

 

 

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